lunedì, agosto 21, 2006,13:22
Gli errori del Che.
Gary Prado, il comandante che catturò Ernesto Che Guevara in terra boliviana, il 9 ottobre 1967, adesso è un generale in pensione che si occupa di politica – è stato anche ambasciatore in Messico - e segue attivamente le vicende del suo Paese. Vive nella regione di Santa Cruz de la Sierra, la più ricca e la più autonomista delle aree boliviane, tanto che si è persino candidato all’Assemblea Costituente appena indetta dal presidente Evo Morales. Ma non è stato eletto.
In un’intervista esclusiva rilasciata al quotidiano argentino Pagina 12, ritorna con energia a ribadire, per l’ennesima volta, di non essere colpevole della morte del Che e di averlo consegnato vivo ai suoi superiori e, sull’onda di ricordi e riflessioni traccia il quadro della Bolivia di oggi, per la prima volta in mano a un presidente indigeno che ha tutte le intenzioni di mettere in pratica le stesse idee per le quali il Che è stato ammazzato.

“Il Che sbagliò proprio nel contraddire quello che aveva scritto lui stesso”. È con queste parole che Prado spiega quale fu l’errore che portò l’eroe della rivoluzione cubana alla morte. “Nel suo libro sulla guerra delle guerriglie – racconta l’anziano ex generale – Che Guevara spiega come in un paese dove la democrazia si mantiene anche solo in apparenza, è impossibile fare la rivoluzione. Qui in Bolivia avevamo un governo democratico, eletto, con un capo del governo popolare come era Barrientos, il parlamento funzionava e c’era libertà di stampa. E il Che venne a fare la rivoluzione proprio qui. Come se lo spiega? Si sbagliò proprio nel scegliere la Bolivia, questo fu il suo primo errore. Il secondo grande errore che commise fu dividere le sue forze. La mancanza di previsione lo portò a farlo. C’è un momento in cui la guerriglia si divise in due gruppi, senza mai tornare a ricongiungersi. Questo fu un errore infantile. Mai più si incontrarono. Vagarono nel bosco da un lato all’altro separatamente, fino alla totale disfatta. Il terzo errore? Quando una cosa già non va, perché continuare? Leggendo il Diario del Che e parlando con Benigno, - il compagno del Che nella campagna di Bolivia – quegli ultimi giorno risultano completamente surreali. Sapevano di avere l’esercito col fiato sul collo e invece di disperdersi e dire: ‘Ci vediamo camaradas, lasciamo i fucili, compriamoci dei pantaloni e una camicia, tagliamoci la barba e si salvi chi può’, continuarono a marciare”. Prado è fra quelli che non considera l’argentino rivoluzionario un eroe, un mito da perpetuare. Ha passato con lui 15 ore nel villaggio di La Higuera, prima di consegnarlo al comandante della divisione, e lo racconta come “un uomo distrutto che si domandava quale sarebbe stato il suo futuro”. Ha vissuto una vita con una colpa che lui non sente propria, ma che lo ha perseguitato ovunque. Quando era ambasciatore in Messico, lo scrittore messicano Alberto Hijar gli tirò in faccia un calice di vino dicendo: “Alla salute del Che, assassino”.

Riferendosi a Morales, Prado limita le critiche. Crede che la sua elezione sia un fatto positivo per la Bolivia, dato che “rappresenta un cambio nella mentalità della gente e si presenta anche come la consolidazione di un processo democratico iniziato da oltre 50 anni. Ma precisa: “L’errore che non deve commettere è quello di uscire dalla cornice democratica. Deve rispettare le regole del gioco. Finora ne ha rispettate alcune e con molta abilità ne ha dribblate altre. Ma questo primo o poi glielo rinfacceranno. Non si può governare per decreti quando esistono le leggi, non si può dire di cambiare la Costituzione per cambiare tutto come gli gira. Va bene, andremo alla Costituente, ma se poi non esce come vuole lui che succede? Si arrabbia? L’altra cosa che deve controllare sono i suoi amiguitos (chiaro il riferimento al venezuelano Hugo Chavez e al leader cubano Fidel Castro, che da sempre appoggiano Morales ndr.) – spiega l’ex generale a Pagina 12 – a molta gente non piacciono. In America Latina siamo estremamente nazionalisti. Quindi, ne buscherà Evo, che millanta di essere nazionalista, se viene fuori che prende ordini dall’esterno”.

Ma quando Pagina 12 lo stuzzica sulla similitudine fra l’ideologia del Che e quanto va facendo Morales, Prado reagisce in maniera brusca: “Quelle idee non sono del Che, sono idee di qualsiasi comune cittadino – incalza – Non mi venga a dire che un cittadino comune non ha sempre aspirato ad avere un lavoro, un’educazione e la salute, anche prima che comparisse Che Guevara”.
Poi un paragone che fatto dal generale boliviano che catturò l’eroe argentino suona strano: “Duemila anni fa Gesù Cristo andava proclamando gli stessi concetti. Non sono idee del Che. Qui siamo nel bel mezzo di una vecchia operazione mediatica per creare il mito, ma, fatemi il favore, le idee non sono del Che”, conclude. “Sono aspirazioni naturali dell’essere umano”.

Fonte: Peace Reporter.
scritto da Andrea&Serena



2 Commenti:


  • Alle 21 agosto, 2006 20:47, Anonymous Anonimo

    interessante!
    anche il ritornare a Gesù...

  • Alle 23 agosto, 2006 13:02, Anonymous Anonimo

    Ho letto il diario della guerra in Bolivia: da un punto di vista umano è molto bello, ma per il resto la figura del comandante CHE guevara ne esce in effetti malconcia, al di là del finale..
    forse lo scritto più bello del CHE è la lettera ai figli, quella frase è indimenticabile
    Andre grazie per il post a IB4D!
    Ciao

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