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In un’intervista esclusiva rilasciata al quotidiano argentino Pagina 12, ritorna con energia a ribadire, per l’ennesima volta, di non essere colpevole della morte del Che e di averlo consegnato vivo ai suoi superiori e, sull’onda di ricordi e riflessioni traccia il quadro della Bolivia di oggi, per la prima volta in mano a un presidente indigeno che ha tutte le intenzioni di mettere in pratica le stesse idee per le quali il Che è stato ammazzato.
“Il Che sbagliò proprio nel contraddire quello che aveva scritto lui stesso”. È con queste parole che Prado spiega quale fu l’errore che portò l’eroe della rivoluzione cubana alla morte. “Nel suo libro sulla guerra delle guerriglie – racconta l’anziano ex generale – Che Guevara spiega come in un paese dove la democrazia si mantiene anche solo in apparenza, è impossibile fare la rivoluzione. Qui in Bolivia avevamo un governo democratico, eletto, con un capo del governo popolare come era Barrientos, il parlamento funzionava e c’era libertà di stampa. E il Che venne a fare la rivoluzione proprio qui. Come se lo spiega? Si sbagliò proprio nel scegliere la Bolivia, questo fu il suo primo errore. Il secondo grande errore che commise fu dividere le sue forze. La mancanza di previsione lo portò a farlo. C’è un momento in cui la guerriglia si divise in due gruppi, senza mai tornare a ricongiungersi. Questo fu un errore infantile. Mai più si incontrarono. Vagarono nel bosco da un lato all’altro separatamente, fino alla totale disfatta. Il terzo errore? Quando una cosa già non va, perché continuare? Leggendo il Diario del Che e parlando con Benigno, - il compagno del Che nella campagna di Bolivia – quegli ultimi giorno risultano completamente surreali. Sapevano di avere l’esercito col fiato sul collo e invece di disperdersi e dire: ‘Ci vediamo camaradas, lasciamo i fucili, compriamoci dei pantaloni e una camicia, tagliamoci la barba e si salvi chi può’, continuarono a marciare”. Prado è fra quelli che non considera l’argentino rivoluzionario un eroe, un mito da perpetuare. Ha passato con lui 15 ore nel villaggio di La Higuera, prima di consegnarlo al comandante della divisione, e lo racconta come “un uomo distrutto che si domandava quale sarebbe stato il suo futuro”. Ha vissuto una vita con una colpa che lui non sente propria, ma che lo ha perseguitato ovunque. Quando era ambasciatore in Messico, lo scrittore messicano Alberto Hijar gli tirò in faccia un calice di vino dicendo: “Alla salute del Che, assassino”.
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Ma quando Pagina 12 lo stuzzica sulla similitudine fra l’ideologia del Che e quanto va facendo Morales, Prado reagisce in maniera brusca: “Quelle idee non sono del Che, sono idee di qualsiasi comune cittadino – incalza – Non mi venga a dire che un cittadino comune non ha sempre aspirato ad avere un lavoro, un’educazione e la salute, anche prima che comparisse Che Guevara”.
Poi un paragone che fatto dal generale boliviano che catturò l’eroe argentino suona strano: “Duemila anni fa Gesù Cristo andava proclamando gli stessi concetti. Non sono idee del Che. Qui siamo nel bel mezzo di una vecchia operazione mediatica per creare il mito, ma, fatemi il favore, le idee non sono del Che”, conclude. “Sono aspirazioni naturali dell’essere umano”.
Fonte: Peace Reporter.