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In alcuni Stati furono diffuse delle sinistre "licenze di caccia al giapponese", e in qualche negozio di barbiere fece la comparsa un cartello che annunciava "Barba gratis per i Giapponesi - Non ci assumiamo nessuna responsabilità per eventuali incidenti'. Le aggressioni nei confronti di coloro che avevano la pelle gialla si fecero sempre più frequenti, tanto che i Cinesi presero l'abitudine di uscire di casa con un cartello appeso alla giacca che indicava la loro nazionalità, per evitare brutte esperienze. Anche le autorità diedero prova di uno zelo degno di miglior causa, e l'8 dicembre a Norfolk, in Virginia, l'FBI arrestò tutte le persone di origine giapponese su cui riuscì a mettere le mani.
La tensione non scese nemmeno quando il rapporto Munson, realizzato per ordine di Roosevelt alla fine del 1941, chiarì che non esisteva un reale "problema giapponese": Nisei e Issei, tranne poche eccezioni, erano fedeli al governo degli Stati Uniti, e ben diffìcilmente avrebbero compiuto atti di sabotaggio. Nonostante le conclusioni rassicuranti di questo rapporto, nel febbraio 1942 il generale De Witt chiese a Stimson l'autorizzazione ad evacuare tutte le persone di origine giapponese dalla Costa Occidentale, e il giorno 19 il presidente Roosevelt firmò l'Ordine Esecutivo 9066, che consentiva all'esercito di creare delle "aree militari" dalle quali escludere tutti coloro che, per qualunque motivo, potevano essere ritenuti pericolosi per la sicurezza nazionale. L'idea non era nuova, visto che già il 15 dicembre 1941 il deputato John Rankin aveva dichiarato al Congresso che, a suo parere, tutti i Giapponesi che vivevano negli Stati Uniti dovevano essere chiusi in campi di concentramento. Del resto non era mancato chi si era espresso in modo ancora più drastico, come il governatore del Wyoming Nels Smith che aveva minacciato di impiccare tutti i Giapponesi.
La tensione non scese nemmeno quando il rapporto Munson, realizzato per ordine di Roosevelt alla fine del 1941, chiarì che non esisteva un reale "problema giapponese": Nisei e Issei, tranne poche eccezioni, erano fedeli al governo degli Stati Uniti, e ben diffìcilmente avrebbero compiuto atti di sabotaggio. Nonostante le conclusioni rassicuranti di questo rapporto, nel febbraio 1942 il generale De Witt chiese a Stimson l'autorizzazione ad evacuare tutte le persone di origine giapponese dalla Costa Occidentale, e il giorno 19 il presidente Roosevelt firmò l'Ordine Esecutivo 9066, che consentiva all'esercito di creare delle "aree militari" dalle quali escludere tutti coloro che, per qualunque motivo, potevano essere ritenuti pericolosi per la sicurezza nazionale. L'idea non era nuova, visto che già il 15 dicembre 1941 il deputato John Rankin aveva dichiarato al Congresso che, a suo parere, tutti i Giapponesi che vivevano negli Stati Uniti dovevano essere chiusi in campi di concentramento. Del resto non era mancato chi si era espresso in modo ancora più drastico, come il governatore del Wyoming Nels Smith che aveva minacciato di impiccare tutti i Giapponesi.
Un piccolo numero di americani di origine giapponese tentò di opporsi al trasferimento forzato facendo ricorso al sistema giudiziario, e uno di essi, Gordon Hirabayashi, studente all'Università di Washington, dopo essere stato arrestato riuscì a far valere le sue ragioni davanti alla Corte Suprema.
L'Ordine Esecutivo 9066 rimase però in vigore, e fu applicato senza esitazioni.
La maggioranza degli internati erano cittadini statunitensi e si sentivano tali a tutti gli effetti: non sopportavano quindi l'umiliazione di essere considerati nemici, tanto più che le condizioni di vita nei campi di raccolta erano spesso molto diffìcili. Intere famiglie vivevano in stanzoni di sei metri per sette, senza servizi igienici, mobili né acqua corrente, e qualsiasi forma di comunicazione, interna o esterna, era severamente controllata: la posta era censurata, la lingua giapponese vietata in qualsiasi tipo di riunione e i servizi religiosi fortemente limitati.
I campi si trovavano in zone isolate o nel mezzo di veri e propri deserti, circondati da barriere di filo spinato e sorvegliati da guardie armate.
Il cibo, sia in quantità che in qualità, variavada un campo all'altro, ma soprattutto nei primi tempi consisteva soprattutto in verdure conservate,sardine e riso.
Ben presto, gli internati furono costretti a produrre direttamente la maggior parte del cibo che consumavano, e alla fine del 1943 una statistica ufficiale confermò che la produzione dei campi copriva l'85% del fabbisogno di verdure. Anche il comportamento dei sorveglianti variava a seconda dei casi, ma in diversi casi sconfinava nella brutalità. In almeno un caso, il personale del campo usò addirittura le mazze da baseball per punire gli internati: un ufficiale del servizio di sicurezza del campo di Tuie Lake descrisse in maniera cruda l'episodio: "Nessuno dei tre giapponesi era privo di sensi, anche se tutti barcollavano, soprattutto uno che era stato colpito con una mazza da baseball.
Li facemmo camminare fino all'edificio dell'amministrazione (dove) ordinammo loro di stendersi a terra. Rifiutarono di farlo, e così ne stesi uno con un pugno (...).
L'altro ufficiale colpì ancora il suo Giapponese sulla testa con una mazza da baseball."