sabato, agosto 26, 2006,20:00
Ecco le sentenze della corte e altre considerazioni.
(al commento ricevuto nel post precedente, Luigi Tosti risponde così n.d.r.)

Ti segnalo il sito dell'OLIR (osservatorio libertà religiose) sul quale scrivono giuristi eccellenti (moltissimi dei quali docenti universitari). La sentenza della Cassazione penale, che comunque ti invio nel testo tratto dalla banca dati Giuffrè- è reperibile, su questo sito, digitando:

http://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=559
Come vedi, la sentenza in questione reca il numero 439/2000. Per un mistero che ancor oggi non so spiegarmi, questa sentenza è registratae nelle banche dati della Cassazione e delle riviste giuridiche col numero 4273/2000. Ti riporto anche, a riprova del fatto che la sentenza della Cassazione n.439/2000 aveva fatto ritenere oramai chiusa la diatriba circa la legittimità del crocifisso negli uffici pubblici, quanto aveva scritto a suo tempo
il prof. Antonello De Oto del'Universià di Bologna:

Successivamente, il primo marzo 2000 la Corte di Cassazione IV sezione penale ha pronunciato una sentenza (Sez. IV penale - 1 marzo 2000, n. 439, dep. 6 aprile 2000 - Pres. Battisti - Rel. Bianchi - Est. Colaianni - P.M.
Geraci - Ric. Montagnana, in Giurisprudenza costituzionale, 2000, pp. 1121 ss.), che sembrava risolvere una volta per tutte la questione delicatissima se sia lecita o addirittura obbligatoria l'esposizione del crocifisso negli uffici pubblici. continua qui

Sin qui quello che scriveva il prof. Antonello De Oto. Come chiunque può constatare, però, vi è stata successivamente una reazione clericale -perlopiù indotta dal "pericolo" islamico- che ha bistrattato la pronuncia della Cassazione e tutte le conformi sentenze della Corte Costituzionale -che avevano affermato che tutti cittadini sono eguali senza distinzione di religione e che lo Stato deve essere laico, sicché esso non può identificarsi in un simbolo confessionale- per cui si è giunti alle affermazioni, a dir poco paradossali, contenute nelle sentenze del TAR del Veneto e del Consiglio di Stato, i quali hanno sostenuto che, nonostante le crociate, l'antisemitismo, i roghi e via dicendo, l'affermazione del principio di laicità è un "merito" del cristianesimo e, quindi, il crocifisso "merita" di essere esposto come simbolo di "laicità". Si tratta di un'affermazione che, oltre ad essere irrilevante sotto il profilo giuridico (esistono infatti altri simboli molto più meritevoli di rappresentare il principio di laicità), mistifica in modo intollerabile la verità della storia. L'affernazione del TAR e del Consiglio di Stato è infatti parificabile a quella di chi sostenesse che il ripudio di ogni forma di discriminazione e di persecuzione razziale, attualmente vigente nei Paesi più civili e democratici, sia un "merito" del nazismo e del fascismo: essi, infatti, attraverso le leggi razziali e l'olocausto dei rom e degli ebrei innescarono una reazione che ha poi portato alla condanna ed al ripudio delle discriminazioni e persecuzioni razziali.
E, in effetti, il principio di laicità -ovverosia l'affermazione che lo Stato realmente moderno e civile deve essere neutrale e deve rispettare l'eguaglianza dei suoi cittadini- si è affermato proprio "grazie" all'intolleranza del potere temporale della Chiesa cattolica, che ha sempre ritenuto che la religone e la morale
cattoliche fossero "superiori" a qualsiasi altra ideologia e meritassero, per ciò stesso, di essere imposte anche ai non credenti e ai credenti in altre religioni, nel loro stesso "interesse", ed autorizzassero la Chiesa a godere "legittimamente" di numerosi privilegi in barba al principio di eguaglianza.

Il Consiglio di Stato è giunto persino ad affermare -nella sentenza n.556/2006, con la quale ha respinto il ricorso di Lautsi Soile per la rimozione dei crocefissi dalle aule scolastiche pubbliche- che il crocefisso è l'"unico" simbolo che trasmette i valori di "laicità", tolleranza, amore, rispetto del diritto all'eguaglianza, sicché l'esclusione di tutti gli altri
simboli è legittima:. Per avere il riscontro di quanto sia grottesca e falsa questa affermazione, basta riflettere sui crimini di razzismo perpetrati dalla "superiore razzabianca ariana" e chiedersi, poi, se sarebbe lecito affermare, in una sentenza emessa In Nome del Popolo Italiano, che gli "uomini bianchi appartenenti alla superiore razza ariana" sono gli unici meritevoli di entrare nei locali pubblici, gli unici che meritano di sedere nei mezzi di trasporto pubblici, gli unici che meritano di accedere ai pubblici uffici e gli unici che meritano di vivere su questa terra, e questo perché "essi hanno acquisito, nel corso della loro storia, particolari meriti nella lotta contro il razzismo, contro la percesuzione razziale e contro l'olocausto!!!!!

Bestemmie del genere sarebbe meglio non scriverle, tanto meno nelle sentenze. Significativa è la circostanza che il giudice estensore della sentenza del Consiglio di Stato 556/2006 sia il dott. Giuseppe Romeo, il cui nome è legato al centro studi Torrescalla di Milano dell'Opus Dei, come si può constatare accdendo al sito
http://www.fondazionerui.it/portal/page/categoryItem?contentId=20510.

Cordiali saluti
Luigi Tosti
scritto da Andrea&Serena



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