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Questo era Babele e questo è Babel.
Qattro storie, in maniera più o meno profonda si incrociano e si intrecciano. Una coppia americana, un matrimonio messicano, due ragazzi marocchini, una ragazza sola.
...i critici sembrano essersi accorti solo di questo.
In tutto il film nessuno riesce a comunicare con l'altro. Ogniuno crede di sapere cosa è, e cosa pensa, e cosa vuole l'altro. E non si sforza di vedere. Di sentire. Di capire.
Questo film non è una foto. Nessuna delle storie è effettivamente reale o quantomeno plausibile.
Non è questo il film. Il film è Babele.
Il nostro mondo, la nostra ottusità è Babele.
Il non rendersi conto che qualcuno stà tentando di dirci qualcosa, perché siamo troppo peresi dal nostro modo di pensare per aprirci, fermarci, e ascoltare.
La storia della regazza muta, sorda, sola, nella Tokio brulicante di vita, di colori, di rumori, forse è la più emblematica. Una sofferenza che non si riesce a esprimere. Che cerca qualunque appiglio per sopravvivere al dolore del suicidio della madre. Disposta anche a svendersi pur di riuscire a provare qualcosa. E che trova la salvezza in una carezza.
La cosa terribile è stata uscire dal cinema e sentire un signore parlarne senza aver capito.
Un film da vedere assolutamente. Un film da Sentire. Un film su cui riflettere.
Un film per cui cambiare.