"Quando entrava in area con la palla, tornavamo a centrocampo: sapevvamo che segnava. Il meglio ce lo regalò nella doccia: lanciò in aria il sapone e lo fermò sul piede sinistro". Francisco Gento.Credo fosse il 2002 l'anno in cui toccai Londra per la prima e fin ora unica volta. Fu ovviamente Amore smisurato a prima vista.
In quelle due indimenticabili settimane una sola cosa non potevo assolutamente perdermi: Wembley. Arrivati sul posto, dopo un breve viaggio in treno, tutti i timori erano fondati: non c'era più nulla. Non c'erano più le sue mitiche colonne (ma solo due blocchi deformi di cemento armato), non c'era più Wembley ed un secolo di storia del calcio.
Sarà che crescere a Roma ti inculca nel cuore un incofessabile conservatorismo estetico ed architettonico. Di certo m'è sembrato stuprare i ricordi, distruggere la storia per i soldi. Si, ok, frasaccia brutta e banale: però il senso è quello. E' stato come buttar giù il colosseo per farne un ippodromo moderno e confortevole.
Oggi wembley è di nuovo in piedi: bello, avveneristico, confortevole.
Però il 25 Novembre 1953 non tornerà più. E mai più si vedrà una squadra come l'Ungheria divenire la prima compagine non britannica a battere i padri del calcio non nella loro casa, ma nel loro tempio. Ungheria batte Inghilterra 6-a-3. Trentacinque tiri in porta a cinque. Il calcio totale (20 anni prima dell'Olanda-Arancia-Meccanica) batte il calcio antico, cavernicolo. Puskas mise a segno il 3-a-1, con un gol capolavoro, in cui driblò se stesso, fece una piroetta, danzò sul pallone e regalò la palla alla rete, sotto gli occhi dell'attonito capitano inglese, Billy Wright che, narra leggenda, battezzò Puskas con questa frase: "Vedi quel tipo basso e ciccione? Li faremo a pezzi".
Sì.