sabato, novembre 18, 2006,13:02
La crisi senza voce del Darfur.
E se vi dicessi di conoscere il giorno preciso in cui ha avuto inizio un genocidio tutt'ora in corso? Fa una certa impressione conoscerlo, è vero.
Per i distratti: la parola genocidio "indica l'eliminazione fisica, spesso attuata con metodi brutali, di un determinato gruppo di persone, siano esse una popolazione nazionale, una razza, un gruppo etnico od una comunità religiosa" (wikipedia). Era un genocidio quello messo in atto da Hitler, come tutti sapete, e che ogni anno, ipocritamente, ricordiamo con commozione: per non dimenticare, per non sbagliare nuovamente. Ora gli ebrei sono davanti a noi, a due passi da noi sono quei treni carichi d’innocenti. Siamo più consapevoli e possiamo fermare la tragedia. E lo facciamo? No.
Fa una certa impressione, dicevo, sapere che il 26 Febbraio 2003 (data in cui il fronte di Liberazione del Darfur, FLD, sferra il suo attacco su Golo, distretto rurale Occidentale), in Darfur, la gente ha iniziato a morire.
Ora togliamo un po’ di zoom, e tentiamo di capire il contesto: il Darfur è una ragione del Sudan, situata ad ovest, al confine col Ciad. Il conflitto ha inizio nel 2003 e vede contrapposti i Janjaweed, un gruppo di miliziani reclutati fra i membri delle locali tribù nomadi dei Baggara, e la popolazione non Baggara della regione. Ovviamente è una guerra che non può spegnersi da sola, vista la sua gravità. Ma il governo sudanese, pur negandolo, butta benzina sul fuoco: benzina che in soldoni significa armi, assistenza e partecipazione per i Janjaweed. Il tutto perseguendo un unico scopo: colpire e distruggere tre gruppi etnici: Fur, Zaghawa e Masalit.
Il fatto positivo è che non è una guerra di religione –sono tutti musulmani- ma solo una guerra tra pezzenti. Una guerra tra uomini senz’acqua, duramente colpiti dalle carestie. Foraggiata da governanti pronti a creare, sin dagli anni ’60, un conflitto arabo-africano (prima inesistente) per bramosia di potere.
E l’impressione ed il disgusto crescono quando arrivano i numeri a tratteggiare una realtà a molti sconosciuta, eppure grave quanto nessun’altra al mondo: 300.000 i morti (dati del parlamento britannico fermi al 2005), 2.000.000 le persone che hanno abbandonato la propria abitazione.
Se qualcuno parlasse con costanza di questa situazione (idea moralista: si potrebbe togliere un po’ di spazio a tanti programmi con culi e veline, che pure rimangono un affascinante spettacolo ma, appunto, spettacolo), forse saremmo più sconvolti ed il mondo sarebbe scosso da un’indignazione collettiva, l’unica arma nelle mani dell’opinione pubblica. Ma quel grand’assassino del silenzio, accompagnato dall’indifferenza, ha intenzione di continuare ad uccidere. Col consenso dei media, soprattutto mainstream, contenitori mai sazi di scandali e cronaca nera, efferati delitti e raccapriccianti uxoricidi: 10 ore di servizi non resuscitano Samuele. 10 ore di servizi potrebbero agitare le acque dei governi internazionali e sollecitare la sopita coscienza popolare. Insomma: salvare 10.000 Samuele.
Nei giorni scorsi ho goduto di uno scambio epistolare con Pino Scaccia. Mi chiedevo cosa ne pensasse lui, che i telegiornali li conosce dall'interno, della situazione. Pubblico solo una frase: “Non ho detto che sia giusto ma è una questione tecnica. L'impaginazione [dei Tg n.d.a.] deve rispettare tutte le informazioni (c'è chi ci accusa per esempio di fare telegiornali funerali)”.
Bhè, credo che il discorso in fin dei conti vada allargato, e che Pino Scaccia non abbia proprio tutti i torti. Non è certo nella mezz'ora dei Tg che si esaurisce l'informazione. Altri spazi esistono, e se non esistono vanno creati.
Nel nostro piccolo qualcosa possiamo fare. Italian Blogs for Darfur (http://www.savetherabbit.net/darfur) ci prova, perseverando nel tentativo di catalizzare l’attenzione dei lettori su (una delle tante) tragedie dimenticate. Tra i firmatari si sono presto aggiunti Marco Taradash (RL), Marco Pannela e Marco Cappato (Radicali), Yasha Reibman e Gianni Vernetti (sottosegretario agli Affari Esteri).
Lievi miglioramenti, insomma, ma serve qualcosa in più. Ad esempio un grande aiuto del nuovo membro non permanente del consiglio di sicurezza dell’ONU: l’Italia…
Pubblicato su Meltin'Pot.
scritto da Andrea&Serena



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